mercoledì 5 dicembre 2012

Ventotto autunni

Si rompe la notte più amena
in un buio ch'è ratto di sogni
e ricordo quei vaghi cicogni
d'Alsazia. E Cristina D'Avena.

E un giorno mi sveglio e m'accogo
dell'Addio di Guccini,
ch'udito sin da li occhi miei bambini
or tramonta. E io ancora sorgo.

Non so se t'ho accanto davvero,
oh Dio dell'amore a cui dono il castello
del mio cuore! Ma sono il bello,
non invecchio nel canto del mistero.

Ho imparato le più atee preghiere,
temo l'Africa ch'uccise Rimbaud
e un inglese che so I don't know.
Ma oggi scrivo di rime sincere.

Del caso non mi sento il figlio,
devo tutto alla vera famiglia
che m'ha dato l'Oceano in conchiglia.
E guidato d'abbracci di miglio in miglio.

M'affligon le vostre rughe,
oh eterni compagni d'onirico viaggio,
or maestri d'umano coraggio
sulla via delle più amare fughe!

Arrivo in dicembre a ventotto autunni,
con qualche fiore in tasca
e guardando il domani in burrasca
d'un'antica Italia straziata dagli Unni.

Legato agli affetti, alle persone,
vivo a dipinger la nostra emozione,
senza la forza di vincer la morte.
Maschera di sorriso, schiavo della sorte.

Ma fin che le notti saran belle
uscirò a sognar le stelle!

(D.D.)

    
       
 

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