lunedì 26 settembre 2016

Le Muse di Alpha (storytelling)

Lo chiamavano Alpha, quel mondo umano che accompagnava la loro senilità, la cui quotidianità andava dissipando emozioni e ricordi, cancellando insieme il passato e il presente. Il futuro no, quello non l’avrebbero mai vissuto, avendo da tempo rinunciato all’immortalità. Le Muse, figlie di Zeus e della Memoria, stanche di guardare dall’alto e con l’indifferenza concessa solo e soltanto agli Dei le più empie scelleratezze terrene, avevano scelto di dimenticare, incamminandosi verso il sepolcro, passo dopo passo, ruga dopo ruga. Per ogni lacrima versata dalla loro disperata madre sarebbe così evaporata, nella mente delle nove sorelle, un’immagine dell’antica gloria a cui avevano preso parte. 

Calliope s’era spenta per prima, molti erano giunti persino dall’Olimpo a omaggiare la sua camera ardente, forse anche Zeus, in uno dei suoi più indecifrabili travestimenti. Poi le altre, ma la partecipazione umana e divina ai loro funerali era stata sempre meno ampia e consapevole. Spirata Tersicore, tanto amata dal Padre, al dolore era seguita l’ira di quest’ultimo, che aveva quindi vietato a tutti i suoi sottoposti qualsiasi nuovo contatto coi mortali. Zeus sapeva infatti che era stata Clio, ancora viva, a convincere le sorelle a diventare umane. La Musa della Storia viveva peraltro in avanzato stato di demenza, cosa che aveva suscitato anche lo sdegno della madre. 

La Memoria continuava a far visita, all’insaputa del marito, solamente a Talia ed Erato, anch’esse sopravvissute, che trascorrevano i loro ultimi giorni in una casa di campagna, in quasi totale isolamento. Una giovane badante, probabilmente extracomunitaria, portava loro il cibo e il necessario per un’anonima e annoiata sussistenza. Non rammentavano come l’avevano conosciuta e ogni volta si stupivano del fatto che la bella ragazza dagli occhi verdi non volesse mai un compenso in denaro. Diceva di chiamarsi Speranza e di considerare tutto questo come il frutto dell’affetto di una madre. Anche Lei, dall’alto della sua essenza divina, aveva appreso la tecnica della metamorfosi. 

Come ogni pomeriggio, anche in quel giorno di gennaio la televisione era accesa. Erato attendeva la nuova puntata dell’ennesima soap opera in cui tentava di riconoscere i sempre più vaghi ricordi sull’Amore, mentre Talia, scuotendo la testa, rideva di se stessa, avendo compreso di essere l’ultima Commedia da cantare. La Speranza bussò alla porta, aveva un mazzo di variopinti fiori tra le mani, che quasi ne riflettevano il sorriso smagliante. E questa volta non era sola. Non esitò a presentare i quattro ragazzi che la accompagnavano. I Sognatori, così li chiamò, coloro che riporteranno in vita le Muse del pianeta Alpha. Pochi tra le mura di una piccola casa, tantissimi nell’infinito spazio del mondo umano. La ragazza, che nonostante la tenera età aveva un tono decisamente materno, svelò alle due anziane sorelle il perché delle misteriose parole appena pronunciate.

La nuda terra ove erano state deposte le defunte Muse ne aveva assorbito il potere, regalando nuovamente la loro Arte ai figli del pianeta Alpha. La consapevolezza di essere capaci di creare andava sempre più manifestandosi nel genere umano, in concomitanza di una crisi esistenziale che rendeva ormai da tempo inadatte e inefficaci le affermate gerarchie dei massimi sistemi di potere presso i mortali. Erato ebbe l’istinto di afferrare il telecomando, per mettere a tacere il ridondante vociare proveniente dallo schermo, mentre Talia spense il suo ridere amaro in un sorriso sincero. I ragazzi parevano Elena e Paride, Orfeo ed Euridice. Ora diventava tutto più chiaro. Aiutandosi rispettivamente con un bastone e con la sponda del divano, le due donne si precipitarono lentamente, divine menti in fragili e consumati corpi, tra le braccia di quella loro madre bambina. Memoria, forse l’Immortale più amata nell’istante di vita degli uomini. 

Alcuni hanno inventato le tecnologie, altri si sono ricordati il significato dell’Arte. In molti si gratificano ancora nei valori della Giustizia. Ecco perché le Muse avevano scelto di vivere e morire sul pianeta Alpha, ecco le ultime parole sanguinate dalla penna della Storia. Gli uomini, dolci e amare essenze amate da tutte quante le sorelle, sotto la guida dalla folle Clio, convinta di poter cambiare il corso di sé stessa donando il proprio corpo alla Terra. Una lacrima scese ingenua sul viso della badante, che, mescolando un accento russo ai singhiozzi del rimorso, si rese conto di non poter più odiare la più coraggiosa delle proprie figlie. 

Colei che sembrava impersonare la più bella delle donne di Sparta teneva nelle mani un foglio di carta e una matita, armi semplici ma efficaci. E quando Erato cominciò a cantare, ella seppe fare della Storia un dettagliato disegno. Il supposto principe troiano, che in realtà era uno studente appassionato di informatica, non esitò a estrarre il proprio telefonino, per fotografare quel ritratto di immane bellezza. L’Arte lo avrebbe fatto persino innamorare. Talia sorrise di nuovo. Pensava a una nuova Commedia, in cui avrebbe narrato di uomini nascosti dietro entità virtuali, connessi a una rete di conoscenze fittizie e soggetti ai più svariati e curiosi equivoci. 

Quasi vittima dell’ironia del destino, Orfeo si voltò. Ancora una volta. Ma non era che l’affascinante mistero della somiglianza. Riconobbe la timidezza nello sguardo tremante di quell’Euridice che non fu costretta a sparire per sempre, bensì a rispondere a una domanda del ragazzo desiderato. Annuì, perché quel viso lo aveva effettivamente già visto, tra gli effetti personali dimenticati da un signora ultracentenaria nell’ospedale in cui lavorava come volontaria. Li aveva riportati di persona, la sera stessa, all’indirizzo rintracciato tra i documenti presenti all’interno della borsa dell’anziana paziente. Non era la prima volta che ciò si era verificato. La donna era totalmente priva di Memoria. 

Elaborarono un piano, avendo intenzione di ricongiungere Clio alla madre e alle sorelle. Euridice recuperò diverse immagini della vita di Clio, facendo attenzione a dare particolare rilievo alle interpretazioni più moderne e meno convenzionali della Storia, eseguite da artisti apparentemente folli, ma proprio per questo più simili a Lei. Elena ultimò il suo ritratto e ne realizzò altri, sulla base delle descrizioni della Memoria, opportunamente registrate da Paride sul telefonino. Proprio il principe della tecnologia si dedicò, insieme ad alcuni amici, alla creazione di un programma di realtà virtuale, in cui inserì gran parte del materiale raccolto dalle ragazze. Orfeo, la voce per eccellenza, avrebbe dovuto recarsi da Clio e convincerla a osservare dentro quello strano specchio malfunzionante che i più solevano chiamare computer. All’interno di quel mondo virtuale, parallelo e intrigante, si sarebbe nascosta, sotto qualche bizzarra invisibile forma, anche la madre, che non voleva apparire dal vivo, vinta dalla vergogna. 

La trovarono in fin di vita, con un’infinita tristezza negli occhi scuri e profondi che parevano contenere due galassie. Sola, come sempre, nel suo appartamento immerso nel muto frastuono della grande città. Guardava dalla finestra, su una piazza dedicata a un certo Giovanni, che doveva aver compiuto qualche raro miracolo nel passato di quel mondo mortale. Sapeva solamente che cinque piani di scale la separavano dall’ecosistema esterno, attraversato con coraggio solo il martedì mattina, quando era costretta a recarsi in ospedale, per fare una serie infinita di dannate punture. 

Magrissima, aprì alla porta, aspettandosi di vedere la bellissima Ninfa che ogni tanto le riportava la borsa. Le parve di ricordare il volto di Apollo. E allora serrò le palpebre, per non vedere le fattezze di colui che stava prendendo per mano. Orfeo cominciò a cantare, fermando l’avara rivalsa di Ade sull’anima della docile signora ancor prima che la rassegnata diffidenza della stessa Clio. Seduta su una poltrona rossa come il sangue, in una stanza semibuia che ricalcava l’atmosfera degli Inferi, ricominciò a guardare. Lo specchio era animato, si muoveva, mutava incessantemente l’oblio nella consapevolezza, fino all’abbraccio con la Memoria. “La Storia vi sarà per sempre grata, giovani Sognatori!”. 


Nessuno può sapere con certezza come andò a finire questa vicenda, né che ne fu di Clio, Erato e Talia, una volta che furono ricongiunte e poterono gioire dell’Amore della loro madre. Ma sul pianeta degli uomini rifiorì in tutto suo splendore quell’Arte di cui le nove sorelle erano state custodi, ravvivata da nuovi mezzi e da un pensiero sempre più aperto all’innovazione. Diffusa era la convinzione che questo domani migliore fosse in qualche modo, forse da una stella, oppure da qualche minuscolo angolo del virtuale, vegliato e protetto dalle Muse. 

(M.T., storytelling per Alphabeti srl, 2013)



Picture from Annael

amare vs AVERE

Lui le guardava il culo. Grasso, grondante di sudore, con un sorriso inconsciamente forzato: lui - certo - non il culo. Ma Isabella aveva proprio un bel culo, stretto in quei leggins scuri, non diversi dalla sua stessa anima. 
La palestra era semivuota, erano le quattro del pomeriggio: i giovani - normalmente - arrivavano un'ora più tardi. O anche due. D'altronde Isabella aveva lui, Roberto. E lui era vecchio, tremendamente vecchio. Aveva addosso il tipico fetore della vecchiaia di mezza età, quella che non ha fatto la guerra, per intenderci. 
Indossava una maglietta attillata, gliel'aveva comprata lei… Anche se - ovviamente - i soldi erano sempre quelli di Roberto. Che alternative aveva, dopotutto? Meglio comprare una maglietta da fitness a Roberto con il bancomat di Roberto, piuttosto che non avere mai una lira, aveva pensato. 
Isabella era straniera, veniva dalla povertà, quella vera. Aveva ventiquattro anni, che per una ragazza del suo paese sono fin troppi. Meno male che esistevano ancora i filantropi, a quei tempi là. Come Roberto. Single, sulla cinquantina, ammasso di vizi e pigrizia, ma a suo modo innamorato dell'essere umano. Non é detto che sia facile amare, ma è sicuramente facile AVERE, con tutto quel denaro. Lo stesso dannato ozioso denaro che lo aveva imbottito di morale e merendine sin dalla tenera età. Per non parlare delle bibite gassate. Che alternative aveva? Scoppiare, immerso nella solitudine? Proprio lui, un filantropo? La soluzione meno dolorosa era quella di comprare. E da intenzione nasce azione, si sa, nell'illecito regno dei ricchi.
‘Isabella, un nome fantastico, sei bellissima, conosco una persona che cerca una modella per fare delle fotografie… Per una famosa marca di orologi…’. Il tempo, crudele, era passato rapidamente. 'Anche oggi palestra, amore? Dai, che dobbiamo mantenerci in forma!’. 'Isabella, Isabella MIA… Ma NOI SIAMO in forma!’. 
Ero sdraiato vicino a loro, già voce narrante di una storia di ordinaria schiavitù contemporanea. Intanto, l'immensa quantità di grasso della pancia di Roberto, senza alcuna pietà, nascose prepotentemente il culo di Isabella, vinto. 

(M.T., from Tumblr)




Il testamento di Betelgeuse

ATTO PRIMO
“Non siamo poeti maledetti, non abbiamo la forza dei beat, siamo i rigurgiti del benessere che si addormentano nel pop”. “E il futuro?”. “È oggi. Dai, non smettere di ballare… Il pensiero riaccendilo dopo! Solo per guardare le stelle, J”. “Già, perché le stelle non sono fatte di cemento…”. “Ma a noi piacciono i centri commerciali, J. Perché temere il cemento? I nostri cuori sono fatti di plastica. E saranno terra: E saremo terra. Una Terra piena di plastica. E cemento. Ma a noi piace la plastica… Perché temere il cemento?!”. “Chi siamo?”. “Siamo oggi, J. Nessuno ci avrebbe voluto così, nemmeno noi stessi. Ma siamo così, siamo oggi”. “I rigurgiti del…”. “Dai, non smettere di ballare!”. 
La musica fu sempre più alta. E J aveva tanti sogni - veramente umani - negli occhi distratti dai lampi di luce artificiale. Aveva quasi le stelle. Ma quella sera, dopo la vodka, i due allontanarono un'alba incerta divorando carne di plastica in un fast food, sotto lo sguardo indiscreto del cemento.

ATTO SECONDO
“Già, le autostrade. Dici bene, J”. “Sono dappertutto, sono in te. E in me. E tra te e me…”. “Ecco perché dobbiamo imparare ad apprezzarne il profumo, la notte. 
Questa non é una realtà per bucolici. 
Siamo in bilico tra i monolocali e i cimiteri, ma vogliamo ballare, vogliamo ballare fino alla fine. Non abbiamo chiese, ma autogrill. Perché vogliamo viaggiare, vogliamo viaggiare fin dal principio. 
Forse siamo un chi, ma sicuramente non siamo un dove. E il quando ci fa scoppiare a piangere…’. ‘Ma le stelle…’. 'Tacciono. Non lo sanno, di essere un'emozione da guardare! Folli stelle. Bruciano dentro, senza sapere come é bella la luce che buttano fuori…’. 'Come noi?’. 'Non esattamente, J. Noi non bruciamo più. La nostra luce é come un miraggio sull'asfalto: un errore dell'occhio, o forse del tempo’. 'Ma noi, NOI…’. 'La dimensione del noi, J, non ci salva dall'essere umani in un'era che più non si addice alla nostra specie. 
Guardala, Betelgeuse, rossa di una morte millenaria, sepolcro dei cieli! Siamo noi’. 'Sarà, ma le mie palpebre si perdono nel traffico, persino a quest'ora… E non ci penso, a Betelgeuse. Credo solo che sia un peccato che una stella non possa fare testamento, non ti sembra?’. 'Siamo noi!’. 
J scosse il capo, non smetteva di recitare l'inconsapevole maledizione dei romantici. Arrivarono al casello, pagarono due denari. E fu davvero autostrada. Davanti a loro: la vita vera. 'Il prossimo autogrill?’. 'siamo noi!’.

(M.T., from Tumblr)



#microracconto

Dottor K, qual é il problema?
Che la gente scrive ‘qual'é’ e che, mentre tutti corrono veloci verso il precipizio, l'iPhone non é in grado di correggere questo ingenuo e al contempo rassegnato errare umano.
Che intende dire? Se parla delle crisi culturale… Beh… La cultura annoia, questo é il dato di fatto. E poi… Chi ci vende la cultura è complice di chi ci ruba il futuro, si sa. Non nascondiamoci dietro ai luoghi comuni degli accademici, suvvia! Lei lo sa… 
La mia generazione ha distrutto tutto, ragazzo. Quelle prima distruggevano tanto, la mia ha distrutto tutto. Vi abbiamo fatto imparare le poesie a memoria per non scomodarci a spiegarvi il loro significato. Vi abbiamo fatto credere che il liberismo coincide con la libertà, che il lavoro a tempo indeterminato é poco efficiente, che siete più belli se consumate di più…
Dottor K, qual è il punto? Siamo all'Apocalisse? 
Peggio, siamo alla riconsiderazione delle religioni salvifiche, siamo alla fine dell'illuminismo. Qualcosa ci minaccia, uno spettro, un demone: dev'essere il fantasma di Danton! 
Le opposizioni sono vecchie, consenzienti, poco credibili, adagiate, inutili… Che fare allora? Io non voglio dover preferire la morte, Dottore! I sogni, vorrei ricominciare ad avere dei sogni! Si ricorda, Lei, il colore e il profumo dei sogni? Di quelli analcolici, intendo… 
Il lavoro, il lavoro. Se c'é anche solo un barlume di speranza esso si trova nella piena occupazione. E nel posto fisso. Tutta l'economia nasce da lì. E non solo. La famiglia nasce da lì, anche se i preti e i bigotti se lo sono dimenticato. L'amore nasce da lì, la cultura pure. La precarietà é il cancro. 
Cosa dobbiamo fare, NOI? 
Niente. Oppure tutto. 
Dottor K?! 
Il lavoro, ragazzo, il lavoro! 
- Piangeva, l'ultimo #keynesiano -

(M.T., from Tumblr)