mercoledì 31 ottobre 2012

Magie di Halloween



 Ebbene sì, Halloween è giunta e i bambini di tutto il mondo si preparano a festeggiare le streghe armati di zucche e denti da vampiro. Ma i dolcetti o scherzetti più intriganti li regala ancora una volta la politica, a partire da Mitt Romney, che terrorizza gli Americani parlando del più pericoloso obiettivo militare dell'Iran: l'ardito desiderio di uno sbocco al mare. Già, forse perché il saggio candidato repubblicano (volendo sprecare gli ossimori ndr) considera il Caspio geomorfologicamente un lago ed è convinto che l'Oceano Indiano sia ormai ben poca cosa, rinchiuso in qualche riserva a giocare con arco e freccia e destinato all'estinzione. Oppure più semplicemente il papabile presidente USA è stato ingannato, durante la propria ricognizione aerea sopra il Medio Oriente, dall'inaspettata impossibilità di aprire l'oblò, per guardare meglio il panorama ed evitare di "annoiarsi un po'". Storie d'oltreoceano, la cui eco giunge tuttavia in Europa, in quanto l'Unione ha deciso di allertare il Corridoio Polacco, in caso il geografo Mitt, vinte le elezioni, decidesse di attaccare la Siria. La competizione elettorale invade peraltro i boschi di Twilight, dove ancora ci si chiede se Bella la darà (la preferenza ndr) al democratico Jacob o al repubblicano Edward. La decisione di questa ragazzina, il cui volto annoiato, viziato e da "quattro schiaffi che non farebbero male" ben incarna quello dell'elettore indeciso medio, finirà per pesare sul voto dell'Ohio. A proposito di voti: nel frattempo Harry Potter ha finalmente ritrovato quelli di Al Gore, nella Camera dei Segreti, dove li aveva spietatamente rinchiusi Tu Sai W. Chi nell'ormai lontano 2000. Pare che il Ministero della Magia stia pensando di reagire al fattaccio nominando un nuovo preside ad Hogwarts, l'ormai quasi ex premier italiano Mario Monti. In uscita dal Bel Paese, lo stimato mago, già professore di Pozioni, si porterebbe con sé parte del suo infallibile staff, come la docente di Erbologia Elsa Fornero, esperta in mandragole, e il Commissario per la Difesa contro le Magie Oscure Anna Maria Cancellieri, più l'elfo domestico Giarda, unico della sua specie ad aver rifiutato un indumento che gli avrebbe donato la libertà: gli orribili calzini azzurri del giudice Mesiano (come puntualmente ricorda Studio Aperto). Per un preside che verrà, molti altri se ne andranno. Non si può non accennare al Favoloso Mondo di Lombardie. Questa commedia regionale che porterà alla storia, manzonianamente parlando, la Milano del trionfo degli eredi di quel Don Rodrigo di Lecco che fu tanto avverso al matrimonio più famoso della letteratura, iniziò circa un anno prima della notte in cui morì Lady D, quando un giovane democristiano, un po' autistico e votato alla castità, trovò una misteriosa scatoletta dietro a una piastrella del suo misero appartamento nella triste e grigia realtà di periferia, dove era solito nascondere i giornalini porno. All'interno della scatoletta il giovane, che si chiamava Robertino, trovò una serie di curiosi oggetti, tra cui il modellino di un grattacielo, il dito medio di S. Ambrogio, reliquia dal valore inestimabile, un medaglione con impresso un simbolo massonico, un listino di igieniste dentali particolarmente adatte per la carriera politica e una fattura relativa a una vacanza a Rio, che risveglio subito in lui un'intensa voglia di Messico (l'insegnante di geografia era lo stesso di Romney ndr). In ultimo vi trovò un diploma di laurea di un certo Renzo Bossi, palesemente post-datato e scritto in abanese. Robertino capì che non poteva essere una coincidenza e decise che avrebbe costruito il proprio futuro sulla base di quei pochi indizi che Dio gli aveva appena fornito. Iniziò a identificarsi in Gesù e a comprendere fino in fondo che il messaggio del Signore altro non era che l'Eccellenza. Spesso aveva sognato di essere Elton John, Simon le Bon o addirittura Madonna, ma il Santo Padre gli aveva sempre consigliato di non intraprendere la carriera musicale, troppo rischiosa e legata alle mode del momento. Meglio concentrarsi sulla fede e sulla politica, per avere un futuro corollato di certezze. E così fu. Robertino capì che poteva fondere il suo credo a quello dei massoni di professione coniugando il messaggio di un certo Don Giussani, molto in voga sulle frequenze cancerogene di Radio Maria, agli interessi più delicati dell'imprenditoria longobarda. Nacque CL, infelice acronimo di Champions League, un movimento fideistico di distrazione di massa e laboratorio di spartizione dei poteri e condivisione di interessi. Afflitto da solitudine, Robertino s'inventò inoltre la Compagnia delle Opere, di chiara ispirazione tolkieniana, e un meeting a Rimini con sede al Cocoricò. Tutti al mare a mostrar le chiappe chiare, almeno metaforicamente. Nel concreto cominciò la predilezione per lo slip attillato color vermiglio, in grado di valorizzare gli effetti estetici della depilazione del'interno coscia e mettere in evidenza il pacco, in linea con il nascente pensiero politico-filosofico della nuova destra italiana. Un giorno di pioggia, proprio mentre Andrea e Giuliano (Pisapia ndr) incontrano Licia per caso, Robertino, che sognava il ciuffo rosa di Mirko, incontrò Daccò. Ben presto si rese conto che non si trattava di Dodò dell'Albero Azzurro, nonostante un sistema molto simile manovrasse pari modo questo personaggio, isomma, con una mano nel culo. Tutto il resto lo fece Orietta Berti: "fin che la barca va lasciala andare" divenne la trama della relazione che i due pian piano costruirono, passo dopo passo ed elezione dopo elezione, nonché la visione del mondo da parte del giovane e ingenuo Robertino. Non ci volle molto e l'erede di Gesù divenne presidente della Regione Lombardia, sconfiggendo Pilato al primo turno. Decisivo fu l'appoggio del centrista Giuda, che convenne sulla necessità di arginare il possibile avvento del Comunismo in Terra Santa, dopo la scorpacciata di bambini che andava facendo il compagno Erode, peraltro dichiaratamente omosessuale e con la "s" sibilante. La coalizione vincente comprendeva anche la Lega Nerd degli ingegneri informatici del Politecnico di Milano, guidati da Umberto Bossi e convinti della necessità di conquistare il dominio www.padania.com, registrato da un pizzaiolo napoletano di religione celtica. Trascorsero lustri. E ogni elemento della misteriosa scatoletta acquisì un senso. Il dito medio di S. Ambrogio fu collocato in cima alla cupola eretta in onore del cugino Raffaele, protettore dei malati e protagonista di una canzone di Fabrizio De André, che divenne insieme avamposto militare vaticano e residenza dello stratega del calcio Luciano Moggi. Le fatture relative a viaggi e vacanze divennero uno spauracchio, più temibile di qualsiasi tirannosauro, giudice, comunista o male incurabile (tanto per sprecare un po' di sinonimi ndr). Il listino arrivò a integrare le Sacre Scritture, alla voce Vangelo secondo Roberto. Nicole Minetti e Renzo Bossi divennero dotti protagonisti dell'élite politica lombarda, portando i valori della bellezza naturale e dell'intelligenza in consiglio regionale. Tornarono utili anche la pratica del pompino e l'esistenza di sedi universitarie nell'ex colonia d'Albania. Intanto Robertino, trascorsi vent'anni, divenne legittimo proprietario della Regione e dei suoi abitanti sfruttando le disposizioni di legge in merito all'usucapione. Ma Il Favoloso Mondo di Lombradie non poteva durare, perché a un certo punto, come tutti film francesi, ha finito per annoiare gli spettatori paganti, ehm, l'opinione pubblica. Oggi Robertino è un uomo solo, una stella verso le stalle. Proprio come un'altra celebre pop star del passato, Madonna, anch'essa "Like a virgin", ora schiacciata dall'irrefrenabile successo di Lady Gaga, detta anche il Matteo Renzi della musica contemporanea. E pensare che il tormentone "Born this way" aveva appassionato a tal punto l'ingenuo Robertino da condurlo all'eccesso con i colori di jeans e camicie e con le cattive amicizie. Il gatto e la volpe, i Galli Insubri e Allobrogi, la banda bassotti, i Mangiamorte, la 'ndrangheta e persino gli alieni. Si narra addirittura che Curiosity sia spesata dalla Regione Lombardia e che contenga Scajola a sua insaputa. Amen. Per un politico che tramonta ce n'è un altro che non decolla: il povero Andrij Shevchenko è brutalmente sconfitto alle elezioni in Ucraina. Se sono libere chiedetelo alla Timoshenko, abbandonata dall'Europa nonostante sia una gnocca da paura.  Ma Putin ci chiuderebbe i rubinetti. È il caso di dire: figa di gas. Dopo la batosta presa qualche anno fa da George Weah in Liberia, è comunque ormai certo che il modello Milan può funzionare appieno solo in Italia. E mentre Sheva si dispera per aver ignorato gli arguti consigli di chi sosteneva la necessità di ottenere il controllo di almeno tre televisioni, Pato promette, in vista della prossima tornata elettorale in Brasile: "Io vincerò, farò uno strappo alla regola". E obiettivamente non stentiamo a credergli. Volendo parlare un po' di calcio non si può non segnalare la prossima candidatura di Zdenek Zeman alla guida del Movimento 5 Stelle per la coppa delle politiche 2013. Il tecnico boemo ha un ottimo curriculum di vaffanculo e produce un gioco molto gradito dai tifosi, spettacolare, spavaldo, anarchico. Non vince mai un cazzo, ma fa sempre parlare di sé: una logica molto cara ai vertici del suo nuovo partito. Casaleggio, che, è bene precisare per i più, non è un formaggio puzzolente ma la mente del Movimento, è tuttavia sostenitore della necessità di poter disporre di una lettera di dimissioni in bianco dei suoi allenatori sotto contratto. Insomma, in perfetto stile Zamparini. Per un mister che sceglie la politica un politico potrebbe ripiegare sulla panchina: Angelino Alfano, silurato a destra e a manca dal PDL, potrebbe tentare di salvare il Milan, più che mai inguaiato nella dura lotta per non retrocedere. Difficile invece che Allegri prenda il suo posto, non solo perché è livornese, ma anche perché l'idea di vendere Pirlo e comprare Muntari non è ben vista dalla Lega, prezioso alleato che vale 6 punti percentuali e almeno 3 punti a campionato, considerando il doppio scontro diretto con l'Atalanta. Tempi duri, servirebbe una magia (in assenza di altre televisioni da comprare) per risollevare il centro-destra travolto dagli scandali e vittima dell'eterna lentezza di Montolivo in fase di regia. Ma Harry Potter e Giorgio Gori stanno già con Renzi, mentre Mago Merlino e la Rosy Magò, temendo la rottamazione, hanno prudentemente scelto Bersani. La Zingara che fa le carte e dalle carte ti legge la sorte, nonostante l'ottimo appeal televisivo, così come Muntari, non piace al Carroccio. Le creature di Tolkien hanno scelto perlopiù Fli, convinti sia il miglior punto di partenza per una nuova impresa epica, fatto salvo per gli Ent, da sempre schierati con gli ecologisti di Sel, e Sauron, fuggito insieme a Dell'Utri a Santo Domingo, anch'egli in attesa di una pericolosa sentenza della magistratura. Oz è stato recentemente arrestato per sfruttamento della prostituzione minorile, nonostante l'intera Città Smeraldo avesse sostenuto di credere che Dorothy fosse la nipote di Churchill. L'identità di Magica Emi, nota produttrice discografica e proprietaria di diversi latifondi in Ecuador, è stata recentemente svelata da Sallusti, ne "Le lettere dal carcere": si tratta di Elisabetta Tulliani, che tramite un esoterico braccialetto regalatole da Fini a spese di An (lo stesso che consente al Presidente della Camera di mutare da fascista ad antifascista a seconda della luna) può trasformarsi in figa , santa, intelligente e onesta quando vuole, ribaltando completamente la propria essenza. Dopo i no di Monti, che si voleva riproporre in accoppiata con Bis, il Sir già noto per le preziose consulenze al Principe Giovanni, e di Celestino V, l'unica maga che si è detta disponibile a quel progetto politico postberlusconiano che possa finalmente riunire le anime dei moderati ed evitare che l'Italia precipiti nuovamente nel comunismo di orweliana memoria dell'era Prodi, dove tutti i salumi erano uguali ma la mortadella più uguale degli altri, è proprio lei, unica e irripetibile, nonché dai tratti e dalla storia personale, imprenditoriale e politica assolutamente affine a quella del grande statista Silvio: Vanna Marchi, giusto in tempo tornata a far parte del popolo in libertà. D'accordoooooooo?!

(M.T.)

domenica 28 ottobre 2012

Daniel Dyler e le avventure nelle Terre di Mito. V- Il Concilio dei Puri




 L'Arconte aveva smesso di parlare, un timido brusio si era progressivamente diffuso sugli spalti, ma ben presto un'altra voce prese il sopravvento sul disordine delle mezze frasi, sussurrate o balbettate qua e là, che propagavano timori e incertezze. Parlò infatti colui che era seduto alla destra di Enlil, un uomo sulla cinquantina, con dei lunghi capelli biondi, che gli scivolavano dietro la schiena, quasi fossero un mantello. Erano lisci e lucenti e contrastavano con il blu notte dell'abito su cui erano poggiati, molto stretto e accollato. In quei tessuti si specchiavano freddi occhi tendenti al viola, che facevano veramente impressione. «Il mio nome è Kumarbis, sono un Arconte dal Nome Incancellabile, fedele servitore della città di Zerya... A me spetta il compito di forrnirvi una più chiara spiegazione rispetto al luogo in cui vi trovate e alla ragione della vostra presenza. Nessuno abbia paura, qui siete al sicuro e potrete presto tornare alle vostre vite... Non farete nemmeno fatica a dimenticare questo breve viaggio!». Queste parole erano scandite con estrema pacatezza, con una voce ben diversa da quella di Enlil, più giovane e molto dolce, che mal si accordava con i severi tratti nordici del viso del secondo Arconte. «Negli scorsi giorni» procedette Kumarbis «questo consiglio ha preso un'importante decisione, dopo secoli e secoli dall'ultima volta che se ne prese una simile. Si è infatti scelto di ricorrere al vostro prezioso aiuto, oh giovani di Gea, per difendere le Terre di Mito e l'Universo Intero da una possibile minaccia. Oggi, nel pieno del mese di Sagitter e quasi ottomila anni dopo la fondazione di Zerya ci avvaliamo del più potente strumento di pace di cui si possa disporre, capace di vincere ogni male in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo. In qualità di supremo organo di governo della città delle città, noi Arconti dal Nome Incancellabile convochiamo il Concilio dei Portanti Umana Ragione Invitta, che le antiche fonti ricordano anche come i "Puri"». 

 «Straordinario, davvero straordinario!» esclamò Daniel, voltandosi verso Jake in modo da incontrare con lo sguardo i suoi occhioni di ghiaccio, ora decisamente rassegnati all'idea d'esser spettatori non paganti di uno spettacolo sempre più assurdo. Intanto l'Arconte continuava: «I Puri sono venticinque giovani nati su Gea, quel pianeta da voi generalmente conosciuto come "La Terra", che grazie alle antiche tradizioni sappiamo situato in un preciso punto dell'Universo in tutto e per tutto identico a quello in cui viviamo. Non ha senso che vi dica di più circa la collocazione delle Terre di Mito... Vi sarà sufficiente sapere che Zerya si trova in una galassia pressoché speculare a quel che chiamate "Il Sistema Solare". Anche in questo caso numerosi pianeti orbitano intorno a una stella, grande quasi quanto il Sole, il cui nome è Istar. Siamo infinitamente distanti da Gea, ma imparerete presto che lo spazio e il tempo non sono categorie assolute... Anche sul vostro pianeta qualche saggio vi avrà sicuramente ricordato che tutto, o quasi, è da ritenersi relativo... Alla base di ogni considerazione, cari ragazzi, c'è sempre un punto di vista!». «Ora le cose si fanno un po' più razionali» disse Jake. «Certamente!» gli rispose Daniel, accennando un sorriso. «Molti studiosi hanno sostenuto che le probabilità di esistenza della vita in altri punti dell'universo oltre alla Terra fossero altissime». «Quei cavalli, alati o non alati che fossero, avrebbero però dovuto superare di gran lunga la velocità della luce per portarci così lontani. E questo è già molto meno razionale...» finì però per obiettare nuovamente il giovane Reid. 

«I Puri sono autentici simboli di pace, lo ricordano le antiche scritture di Zerya, custodite dagli Arconti in nome dell'Eterna Legge delle Terre di Mito. Questi ragazzi nati su Gea hanno dentro sé stessi la forza dell'amore e incarnano l'idea di una suprema giustizia che sia guidata da questo sentimento a dir poco essenziale per la vita umana». «Se non altro ora abbiamo la conferma che questi Arconti e quelli che abitano questo mondo sono anch'essi della nostra specie... È già qualcosa!» esclamò sarcastico Jacob, mentre Kumarbis continuava il suo intrigante monologo. «L'uomo dovrebbe essere capace di agire secondo la logica che è propria della sua natura, quella dell'amore e della giustizia... Dovrebbe poterlo fare da solo, senza l'aiuto di nessun altro. Ma sapete quanto me, perché l'uomo è lo stesso in ogni mondo, che spesso ha bisogno di reprimere comportamenti che vanno nella direzione opposta, come l'odio, l'arroganza, la voglia di sopraffare gli altri e via dicendo. Quando queste forze maligne si manifestano in modo massiccio e pericoloso i Re, Principi o Governatori delle città delle Terre di Mito, nonché gli Arconti, supremi garanti della Legge, possono contare su un prezioso aiuto proveniente dall'esterno, mediante il ricorso al Concilio dei Puri. Secondo la tradizione la presenza dei Portanti Umana Ragione Invitta sul suolo di Zerya è di per sé garanzia di sicurezza e invulnerabilità per il nostro mondo e l'Universo Intero. Sarà sufficiente che essi si prendano per mano e formino un cerchio, dopo essersi riuniti in un punto preciso delle Terre di Mito, conosciuto solamente dagli Arconti, e aver indossato delle apposite vesti tessute in oro, del tutto simili a delle armature, ma leggere come fossero di seta. In questo modo ogni male verrà estirpato sul nascere. È tuttavia fondamentale, secondo le fonti, che la segretezza del Luogo del Concilio non sia per motivo alcuno violata». 

 I ragazzi e le ragazze seduti ad ascoltare Kumarbis erano decisamente meno spaventati rispetto a quando aveva parlato Enlil e anche molto incuriositi da ciò che quell'uomo dai lunghi capelli biondi andava dicendo. Ai più sembrava di essere al cinema a vedere un film avvincente e ricco di colpi di scena, o di trovarsi con gli occhi sulle pagine di un libro d'avventura, di quelli che quando li inizi non riesci più ad abbandonarli. «Ma saremo un migliaio!» esclamò Jake, a cui non era sfuggito che l'Arconte avesse parlato di "venticinque giovani". Quasi avesse potuto udire quest'affermazione di perplessità e pacato disappunto nonostante la distanza che separava i troni dagli spalti, Kumarbis continuò precisando «Dagli antichi scritti conservati a Zerya sappiamo che la formazione del Concilio non é affatto cosa semplice... Recita infatti queste parole il più importante tra i testi su cui si fondano le civiltà delle Terre di Mito, conosciuto come "Il Canto della Storia":

"Se l'anima nostra sarà rea
d'attuar malvagio disegno,
allor si cerchino su Gea
perché giungano al regno,
Portanti Umana Ragione
Invitta in lor nobil cuore,
quei che vivi d'emozione
san donare il loro amore.
Giovinezza li accarezza
di sol sedici primavere,
dalle labbra soave brezza
di giuste parole sincere.
Saran salve terre e 'l mare
e ogni mal sarà fuor gioco,
se si sapranno rintracciare
e s'avrà in segreto loco
il lor Concilio, nostra pace,
con le mani nelle mani,
mentre fuor tutto tace,
vicini destini prima lontani.
Prendan mille creature
i Pegasi e l' Antico Dono
dia lor l'auree armature
allor forgiate col perdono.
Saran lette da ognuno
le sue pagine s'un trono
e non capirà altro alcuno,
solo i venticinque che sono".

Si tratta di versi molto antichi, ma d'importanza vitale per Zerya, anche e soprattutto oggi! Siamo fortunati a poter disporre delle testimonianze del passato, perché dal passato si può imparare davvero molto...». A questo punto Kumarbis smise di parlare, senza aggiungere altro e lasciando tutti col fiato sospeso. 
 Daniel era davvero esterrefatto e nella sua mente cominciava a diffondersi la convinzione che questo incredibile viaggio in quella che pareva essere una città più importante di un lontano pianeta, del tutto simile alla Terra ma posto addirittura in un altra galassia, fosse davvero un gran bel regalo di compleanno, appositamente confezionato dal destino per il suo animo avventuriero. Inoltre era affascinato dalle rime tratte dal Canto della Storia, che l'Arconte aveva appena recitato. Jacob continuava invece a sedare le proprie preoccupazioni semplicemente pensando alla felicità che poteva ammirare sul volto del suo migliore amico. 

(M.T.)


venerdì 26 ottobre 2012

Arthur Rimbaud

Annegato dal mondo
in un solo sguardo,
beffato dal ritardo
di quel tutto sullo sfondo.

Bulimia di sogni,
ebbrezza di folli vocali
che suonan naturali,
noia d'inutil bisogni.

E maledetti fiori
quelle rose superbe,
magiche come l'erbe
e col vino nei colori!

Giovinezza totale,
divorata da quei vent'anni
d'ormoni e d'inganni,
dagli amori e dal male.

Discesa all'inferno
del ribelle ch'accusa il padrone
pel buon governo
d'agognata dannazione.

Poi castelli e stagioni
nell'umana miseria
degli amari abbandoni
e d'ogni esanime maceria.

Infin l'Africa boia,
un tuffo nel nulla più pieno,
ch'è altera gioia
s'il verso è ormai veleno.

(D.D.)



martedì 23 ottobre 2012

E li vedo passare

Li ho visti
i moralisti tristi,
a lenir l'invidia baciando l'altare.
E li vedo passare.

E le menti ottuse
di tecnici laureati
che agli occhi miei indignati
son perplessità diffuse.

Li ho notati,
forse banchieri, oppure avvocati.
E come fiumi verso il mare
li vedo passare.

Tiranni incravattati,
vecchie scimmie ben illuse
e senza Muse,
porci dai ventri ingrassati.

Arricchiti ma ignoranti,
che pagan per amare,
tra bianche polveri e diamanti.
E li vedo passare.

Gli eroi troppo belli,
oh non biasimo quelli,
unico aspetto quasi sano
del viver quotidiano!

Vincesse la bellezza,
vivrebbe la poesia,
che sempre l'accarezza
mentre tutto fugge via.

La classe dirigente,
mito elegante nel passato,
è il vomito d'un presente
che troppo s'è ubriacato.

Oh intellettuale,
non lasciarti andare!
Anche se chiuso nel tuo capezzale
li vedi passare.

(D.D.)



lunedì 22 ottobre 2012

Comme le Nil

Je viens de me réveiller
et je vais sourire,
car j'ai mes désirs
et je me sens aimé.

Je suis comme le Nil
avec mon fleuve de mots
écrits très tôt
pendant ces jours difficiles.

Toutes le fois que le soleil
peut pas caresser la nuit
qui va au-dessus de notre lit
en regardant qu'on est merveilles.

On est doux comme la source
et aussi immenses que la mer,
on est l'emipire de deux terres,
plusieurs routes d'une même course.

Mes rimes des siècles anciens
volent par le désert
e lui donnent ces yeux bleu-verts
qui ne font que chercher les tiens.

Ils partent de l'Afrique sauvage,
de l'âme noire de ses montagnes,
rêvant le port d'Alexandre Magne,
sur la Méditerranée, quelle image!

Je peux voir le souffle magique
de tes ondes d'amour
qui m'embrassent à toute allure,
baroques comme les notes de ta musique.

Comme le Nil je suis
et je me jette dans ma mer,
chez toi, l'eau qu'éteint l'Infer
et mouille mon coeur du sense de la vie.

(D.D.)


venerdì 19 ottobre 2012

Daniel Dyler


Un vecchio libro di lettere antiche,
un mondo nuovo di vivo presente,
l'idee d'Amore e 'l cuore di Psiche,
l'ingenuo sorriso d'un'età splendente.

Il paesino isolato, un po' dolce, ma amaro,
l'infinita città ch'è madre indifferente,
l'universo d'un diverso da scoprir raro
e d'un diario le pagine attente.

Speranza ne li occhi, neve sul viso,
più una folta chioma di pensieri
e rosee le labbra d'arditi desideri.

Piccolo Principe, timido Narciso,
dio dell'amicizia e uomo nella paura,
guidato dal giusto in ogni avventura.

Dal freddo dell'Artico all'altra dimensione
col semplice sogno d'un'emozione.

(D.D.)


lunedì 15 ottobre 2012

Je te suis et je suis moi

2004. L'art, le miroir de la félicité.

Qui j’suis je n’sais pas bien,
mes réponses toujours les mêmes.
En effet j’en sais rien,
j’sais seulement que je t’aime.

Je te suis et je suis moi,
j’suis trop vide sans toi.

Ma place heureuse et sûre
est à côté de ton âme pure,
au milieu de ton cœur,
dans tes bras, pas ailleur.

Ton égard, tes yeux
c’est tout ce que j’veux,
parce que c’est ta réalité
mon miroir de la félicité.



2012, L'amour, je te suis et je suis moi.

Je chantais tout ça
pendant ces jours là,
quand j'étais qu'un enfant
perdu parmi les géants.

Et mon ésprit etait faible,
trompé par la règle
qu'il faut qu'on commence
d'aimer opposé à l'absence.

Mais aujourd'hui je l'ai appris
qu'on doit pas être rempli,
plutôt fondu dans un feu
qui nous transforme en dieux.

Plus jamais de cieux sans toi,
je te suis et je suis moi.

(D.D.)





Daniel Dyler e le Avventure nelle Terre di Mito. IV - Gli Arconti dal Nome Incancellabile




 Ipotizzando la paura che le sue parole avrebbero potuto generare negli animi dei giovani seduti sugli spalti, il vecchio uomo, per quanto non gli fosse possibile virare su un tono di voce meno tenebroso, cercò di rassicurare tutti quanti: «Non temete miei cari giovani, perché qui siete al sicuro! E Zerya, la città prima tra la città e prima delle città, è al sicuro perché voi siete qui! Tutto vi verrà spiegato nel dettaglio, non avrete alcun motivo di bagnare con il pianto quest'orizzonte che si dona alle vostre pupille, 'sì tanto diverso e lontano dal vostro essere quotidiano. Prestate attenzione a ciò che sta per rivelarvi un uomo che ha la saggezza nelle rughe e l'amore e la giustizia nel cuore!». Molti sguardi sembrarono essere meno tremanti e tiepidamente colorati di una certa curiosità. Daniel era a dir poco affascinato da quello che stava accadendo. E Jake, attonito, contemplava gli occhioni verdi dell'amico, leggendovi tutta la sua eccitazione. Amava quelle iridi immense, che altro non erano se non le due pagine di un infinito e mutevole libro sempre aperto, quello dei pensieri e delle emozioni del suo migliore amico. A volte, pensava, guardando certi occhi non servono parole per sentirsi costantemente in due. 

 Continuò poi il suo discorso quel misterioso signore dal viso scarno e scuro, che pareva il composto gran visir di un sultano mediorientale: «In questo momento vi trovate nell'Anfiteatro che tanti secoli fa l'architetto Espidòro, il più grande di tutta la storia di Zerya, regalò alla nostra città. Consentitemi di farvi notare come ancora una volta, qualsiasi sia l'universo in cui si trovi, allorché l'uomo s'immerga nella contemplazione dell'arte, in ogni briciolo di secondo dell'era del suo presente, come fu nel passato e sarà nel futuro, non conosca più alcun concetto di tempo se non quello di una certa eternità, un infinito esclusivamente umano che ha l'unico limite di non poter vivere al di fuori dell'uomo. Scoprirete che questo limite è per certi versi anche il limite di ogni dio...». Molti ragazzi non poterono fare a meno di voltare timidamente il capo perplesso verso quello del proprio vicino, evidentemente cercando altre spontanee manifestazioni di smarrimento di fronte a quella nebbia di parole, quasi filosofiche, che donavano ulteriore profondità all'assurdo mistero che stavano vivendo. 

 Continuò nel mentre la voce severa: «Sappiate che nessuno di voi sta sognando e che tutto quello che vedete e ciò che vi sto dicendo corrisponde solo e soltanto al vero. Chi vi parla è Enlil, uno dei cinque Arconti dal Nome Incancellabile, custodi di Zerya e del Bene nelle Terre di Mito. Gli altri quattro, che siedono accanto a me, sono i miei pari Kumarbis, Ra, Baal e Tin. È probabile che alcuni tra voi abbiano già impropriamente udito questi nomi, che da millenni si propagano nelle galassie come i raggi di luce delle loro stelle». «Uno sicuramente...» bisbigliò a questo punto Daniel, non appena l'anziano uomo vestito di rosso che diceva di chiamarsi Enlil smise di parlare, facendo precipitare l'anfiteatro prima nel silenzio e poi nell'accennato brusio. «Ra è un'antica divinità egizia, ne sono pressoché certo!» esclamò il giovane Dyler, che un po' per passione, un po' per il fatto di essere il figlio del bibliotecario, navigava spesso tra i libri di storia e di mitologia antica. Stava quasi per fare un collegamento mentale proprio tra la "mitolgia sulla Terra" e le "Terre di Mito", quando l'interruppe un commento secco di Jacob: «Ra? Adesso ci manca solo che compaia un dinosauro insomma!». Sarcastico, a metà tra l'ironia e l'incredulità, si metteava le mani sulle tempie, avvertendo il suo stesso battito corporeo, che si traduceva peraltro in ondate di sudore freddo e nel sopraggiungere di un leggero mal di testa. Ma come dargli trorto? Il suo nome non era né mitologico, né tantomeno "Incancellabile": era un Reid, noto ai più della borgata di Ullapool solo per la sua presunta bellezza e per le origini irlandesi. Il pensiero più razionale che poteva avere in quel momento in cui il mistero non faceva che aumentare era che Zerya potesse essere una cittadina sperduta nel Pacifico, magari non lontana dalla Nuova Zelanda, e che conservasse usi e costumi distanti nel tempo e nello spazio, tanto da sembrare quasi magica. Ma quei cavalli? Le loro ali? Potevano essere stati drogati con qualche pozione aborigena o maori? Il caos dilagava nuovamente nella sua mente. E, come tutti, anche Jake era a questo punto ansioso di ascoltare le spiegazioni degli Arconti.

(M.T.)




domenica 14 ottobre 2012

Valzer dell'Impero

Prese per mano l'astuto Augusto,
troppo saggio e dal viso d'un giusto,
un'ingenua Repubblica anziana
dall'anima fiera, ciceroniana.

E l'invitò a ballare, con sguardo sicero,
questo Valzer dell'Impero.

"Lo spettacolo vi deve piacere,
applaudirmi sarà un dovere"
avrebbe voluto scrivere
con le parole del suo ultimo vivere.

Egli che vinto, fermo e ancor serio,
cacciato Ovidio scelse Tiberio.

Narra la storia ch'ogni delfino
è troppo vicino: amaro destino!

Allor il terzo, che portò la caliga
e in Senato la sagace quadriga,
era parso persino migliore
pria ch'in follia gli mutaron l'onore.

Accorse il buon Claudio, lo zoppo,
a prendersi Roma sul groppo.
E domò i benpensanti, ch'impresa!
Ma dinnanzi all'amanti conobbe la resa.

Poi ch'era spenta s'affrettò Nerone,
forse eccessivo per l'occasione,
a dar luce a una città senz'estro,
guidato d'un Seneca fido maestro.

Ironia della sorte, vox media,
tra gli scritti suoi trionfò la tragedia.

Pochi mesi per quella di Galba,
d'anima nobile, utile e scialba
e a Ottone e a Vitellio altrettanti,
poi fieri eserciti quasi danzanti
donaron l'Impero all'avara mano
del gran generale Vespasiano.

Quindi il buon Tito, terror d'ogni ebreo,
che vestì l'Urbe del Colosseo.

E con Plinio in quegli anni Pompei
sparì per volar sin ai tempi miei!

Venne poi Domiziano, primo Divo
asceso all'Olimpo ancora vivo.
Ei sincero mostrò che muore
la Libertà se v'è Imperatore.

M'ancora acerba la Roma serva
fece ricorso all'antico Nerva
e agli Ottimati col lucido piano
che ben premiò l'iberico Traiano.

Il figlio si sceglie, spietata verità
per il mondo che piano verrà!

L'oro di Dacia e la filosofia
del grande Adriano furon magia,
come il bacio al suo Antinoo
e lo sguardo ad Atene a mo' d'inchino.

Così il pio Stato d'Antonino
vide l'apogeo lungo il cammino.

Dal sogno s'ebbe il risveglio
già sotto Marco Aurelio,
dal cavallo nel bronzo scolpito
e negl'incubi barbari smarrito.

Fu Commodo un Ercole Amaro,
del crollo imminente ignaro,
parentesi quasi vuota
d'una melodia alla penultima nota.

La guerra impegnò i destrieri
finché Settimio insidiò i Severi
e di rigor abusò per chiuder la falla,
fornendo le chiavi a Caracalla
per unire con cotanta speme
nell'uno di Roma l'intero Ecumene.

Macrino l'asceso al pretorio,
ch'avea il gladio nel repertorio,
l'uccise a tradimento
e dell'era dei corvi segnò l'avvento.

Il povero Avito Bassiano
pregò un Sole fin troppo lontano
e la vita gli fu presto presa,
ch'il Palatino non potea esser Emesa.

E venne Alessandro, l'ultimo Severo,
ma cadde in un lampo di fine Impero.
Fu Massimino, detto il Trace,
a vertir nell'anarchia l'augusta pace.

Militari, veterani, legioni
vestiron la porpora dell'istituzoni.

Fallì Diocleziano, duellando col Male,
distratto dal folle sogno federale.

Quattro capitali, un disegno vano
ch'invece aiutò Costantino a capire
qual altra strada fosse da seguire:
un solo Dio, un Paradiso arcano!

Della Fortuna del Milvio il richiamo
udì. E seppe allor far cristiano
quel regno millenario
dal costume antico ormai leggendario.

Pensò forse a quel Teodosio ingrato
ch'avrebbe sputato al maestro passato,
bandendo dai templi gli dei pagani
e al figlio Onorio inchiodando le mani
a un Occidente da sacrificare
per Bisanzio, sul suo stesso altare.

Viva Arcadio e regni senza pudore
accanto al barbaro invasore
ch'ingordo verrà a predar l'Italia,
terra ch'eterna li animi ammalia!

(D.D.)


venerdì 12 ottobre 2012

Elena

Nel nome porti l'eco della guerra,
negli occhi celi il mito d'un amore,
oh ingenua che lasciasti aspra terra,
armata di bellezza e folle ardore.

La dolce amarezza d'esser speciale
ti sottrae all'umana indifferenza.
Ma non a Sparta, incompreso male,
che pare una casa e profuma d'assenza.

Hai amato, incessante fermento,
l'amante d'amore incapace d'amare,
troiano principe, che in ogni momento
invano provò a non lasciarti andare.

Oh quanto è spietato il divino Omero,
nel lasciarci soli, tu dei Greci la preda 
e io nell'Ade, a cercar chi son davvero!
Aedo, ch'il nostro sogno par non veda.  

Ma ricorda del nome che vesti la potenza
e l'amore dipinto negli occhi tuoi,
distruttrice di navi, che sei umana essenza
di Venere, oh Elena bella, tu che puoi!

(D.D.)


giovedì 11 ottobre 2012

Il bimbo che parlava coi fiori

#storytelling

Era l’ennesimo rigido inverno di una Milano in cui il bianco e il grigio sembravano aver estinto tutti gli altri colori. Con il quarto millennio alle porte e i segni sempre più marcati e malinconici della nuova glaciazione, gli abitanti di quel piccolo borgo, che era probabilmente stato gran città e prima ancora capitale di un fantastico impero, provavano nonostante tutto a vivere nel miraggio di un futuro migliore. La neve non aveva ancora gettato completamente nell’oblio i ricordi, sempre più lontani e avvolti nella nebbia, del passato in cui s’era potuto assaporare il tepore del sole. Tutti attendevano con ansia il manifestarsi di una profezia, gelosamente conservata nei libri degli scienziati di quell’età dell’oro che fu: il ritorno dell’estate, o quantomeno della primavera. La fine dei ghiacci, la rinascita di una società tutto sommato felice, in cui si poter ballare, viaggiare, vedere il mare. In molti avevano tuttavia perso la fiducia e per i più si trattava solo d’un antica leggenda. Il baratro della rassegnazione non era lontano. I granelli di sabbia, le cascate, il verde, i fiori: quello che rimaneva di tutto ciò era impresso negli astratti dipinti conservati nei musei. Questi bizzarri edifici, che agli occhi dei contemporanei parevano contenere i più acuti prodotti della follia dell’uomo, ovverosia delle proiezioni immaginarie di un mondo interiore che solo gli artisti, fuori da ogni tempo, riuscivano ancora a immaginare, erano paradossalmente sopravvissuti al declino delle grande civiltà. La forza della natura sembrava averli risparmiati, per qualche strano scherzo del destino. Non v’era quasi anima che li considerasse utili alla vita, ma nessuno aveva il coraggio di distruggerli. Non era ritenuto propizio sfidare apertamente il mistero del fato. In quello che era stato il pieno centro dell’antica e leggendaria Mediolanum, resisteva alle ormai eterne intemperie uno di questi musei, detto “l’Ambrosiana”. Il suo nome non era stato dimenticato, si sapeva che era in qualche modo legato al glorioso passato del borgo. Era tuttavia un luogo famoso soprattutto per un altro motivo. Aveva infatti smesso di soffrire la solitudine, poiché ogni giorno, da ormai quasi un anno, riceveva una visita sempre meno inaspettata. Verso le due del pomeriggio, l’ora in cui era più raccomandabile uscire di casa, un bambino biondo, sui sette-otto anni, non di più, entrava in quelle gelide sale e si sedeva di fronte a un antico quadro. Le didascalie, piuttosto consumate dal logorante avvicendarsi dei secoli, consentivano ancora di sapere che si trattava di un olio su rame, dipinto da un certo Brueghel, quasi millequattrocento anni prima. Vi erano raffigurati dei fiori, i cui colori erano senz’altro quelli più vivi di tutta Milano. Nessun’altra opera aveva mantenuto quei gialli, quei rossi, quei blu. E fuori non v’erano che il bianco della neve, il grigio del cemento e il nero della notte. Il bambino, forse orfano, sicuramente squilibrato, soleva parlare coi fiori. Diceva di conoscere i loro nomi, che glieli aveva svelati il nonno, a cui a sua volta erano stati rivelati da un avo. Omaggiava la Rosa, chiedeva al Tulipano, ammoniva il Giglio. I suoi occhi luccicavano infine di sogni, quando scambiava parole d’affetto con i piccoli Fiorellini Azzurri che circondavano la Farfalla, così vicini al suo leggiadro volo, tanto breve quanto spettacolare. “Non siete che un dettaglio, voi, i miei amici più piccini” diceva loro, accarezzandoli con il pensiero. Qualcuno gli aveva detto che si chiamavano “Nontiscordardime”, ma sapeva che doveva trattarsi di un soprannome, magari legato a qualche storia d’amore, o a un addio tra una triste madre e un giovane figlio. “Siamo tanto simili, infondo! Sono sicuro che anche a voi piacerebbe saper volare, come quella Farfalla. Solo volando potremmo fuggire dall’angolo buio in cui viviamo e raggiungere quella parte della tela in cui la luce dona il tepore del primo piano e l’odore della felicità…”. Spostava spesso lo sguardo sognante verso i vivaci colori di cui potevano godere per esempio la Cavalletta e la Libellula. Anche il bianco, in quel dipinto, gli pareva essere un colore. Per quel bimbo i fiori erano veri. Niente poteva dissuaderlo dalla convinzione che, da qualche parte, essi vivessero anche al di fuori di un quadro. Il rimpianto trasmessogli dal nonno si mutava energicamente in speranza, curiosità, desiderio. E in questo modo un semplice e ingenuo bambino, attraverso l’arte e grazie al museo, manteneva viva un’intera città. Se il passato è sempre un maestro di vita, spesso questo ruolo può recitarlo anche il futuro. Sembra un paradosso, certo, ma è sufficiente lasciarsi guidare da un po’ di immaginazione!

(M.T.)

mercoledì 10 ottobre 2012

Autunno


Piano le foglie volteggiano al suolo
a tinger di giallo l'erba ancor verde
e di rosso e di vita quest'ultimo volo,
amaro sorriso che in morte si perde.

Rimangon stupiti i giovan fuscelli
a guardarle danzar e poi farsi terra,
spegnendosi in polvere e granelli,
ormai rigidi corpi, relitti di guerra.

È l'amor dei nonni, oh cari bambini,
un ballo che mai sarà dimenticato,
un eterno passato di lontani vicini.

È poi il vostro primo sguardo al fato,
col rimpianto per quell'ultimo bacio
mai dato, che più non è ciò ch'è stato.

Oh qual barbara neve sull'oro dacio!

(D.D.)