lunedì 26 settembre 2016

Le Muse di Alpha (storytelling)

Lo chiamavano Alpha, quel mondo umano che accompagnava la loro senilità, la cui quotidianità andava dissipando emozioni e ricordi, cancellando insieme il passato e il presente. Il futuro no, quello non l’avrebbero mai vissuto, avendo da tempo rinunciato all’immortalità. Le Muse, figlie di Zeus e della Memoria, stanche di guardare dall’alto e con l’indifferenza concessa solo e soltanto agli Dei le più empie scelleratezze terrene, avevano scelto di dimenticare, incamminandosi verso il sepolcro, passo dopo passo, ruga dopo ruga. Per ogni lacrima versata dalla loro disperata madre sarebbe così evaporata, nella mente delle nove sorelle, un’immagine dell’antica gloria a cui avevano preso parte. 

Calliope s’era spenta per prima, molti erano giunti persino dall’Olimpo a omaggiare la sua camera ardente, forse anche Zeus, in uno dei suoi più indecifrabili travestimenti. Poi le altre, ma la partecipazione umana e divina ai loro funerali era stata sempre meno ampia e consapevole. Spirata Tersicore, tanto amata dal Padre, al dolore era seguita l’ira di quest’ultimo, che aveva quindi vietato a tutti i suoi sottoposti qualsiasi nuovo contatto coi mortali. Zeus sapeva infatti che era stata Clio, ancora viva, a convincere le sorelle a diventare umane. La Musa della Storia viveva peraltro in avanzato stato di demenza, cosa che aveva suscitato anche lo sdegno della madre. 

La Memoria continuava a far visita, all’insaputa del marito, solamente a Talia ed Erato, anch’esse sopravvissute, che trascorrevano i loro ultimi giorni in una casa di campagna, in quasi totale isolamento. Una giovane badante, probabilmente extracomunitaria, portava loro il cibo e il necessario per un’anonima e annoiata sussistenza. Non rammentavano come l’avevano conosciuta e ogni volta si stupivano del fatto che la bella ragazza dagli occhi verdi non volesse mai un compenso in denaro. Diceva di chiamarsi Speranza e di considerare tutto questo come il frutto dell’affetto di una madre. Anche Lei, dall’alto della sua essenza divina, aveva appreso la tecnica della metamorfosi. 

Come ogni pomeriggio, anche in quel giorno di gennaio la televisione era accesa. Erato attendeva la nuova puntata dell’ennesima soap opera in cui tentava di riconoscere i sempre più vaghi ricordi sull’Amore, mentre Talia, scuotendo la testa, rideva di se stessa, avendo compreso di essere l’ultima Commedia da cantare. La Speranza bussò alla porta, aveva un mazzo di variopinti fiori tra le mani, che quasi ne riflettevano il sorriso smagliante. E questa volta non era sola. Non esitò a presentare i quattro ragazzi che la accompagnavano. I Sognatori, così li chiamò, coloro che riporteranno in vita le Muse del pianeta Alpha. Pochi tra le mura di una piccola casa, tantissimi nell’infinito spazio del mondo umano. La ragazza, che nonostante la tenera età aveva un tono decisamente materno, svelò alle due anziane sorelle il perché delle misteriose parole appena pronunciate.

La nuda terra ove erano state deposte le defunte Muse ne aveva assorbito il potere, regalando nuovamente la loro Arte ai figli del pianeta Alpha. La consapevolezza di essere capaci di creare andava sempre più manifestandosi nel genere umano, in concomitanza di una crisi esistenziale che rendeva ormai da tempo inadatte e inefficaci le affermate gerarchie dei massimi sistemi di potere presso i mortali. Erato ebbe l’istinto di afferrare il telecomando, per mettere a tacere il ridondante vociare proveniente dallo schermo, mentre Talia spense il suo ridere amaro in un sorriso sincero. I ragazzi parevano Elena e Paride, Orfeo ed Euridice. Ora diventava tutto più chiaro. Aiutandosi rispettivamente con un bastone e con la sponda del divano, le due donne si precipitarono lentamente, divine menti in fragili e consumati corpi, tra le braccia di quella loro madre bambina. Memoria, forse l’Immortale più amata nell’istante di vita degli uomini. 

Alcuni hanno inventato le tecnologie, altri si sono ricordati il significato dell’Arte. In molti si gratificano ancora nei valori della Giustizia. Ecco perché le Muse avevano scelto di vivere e morire sul pianeta Alpha, ecco le ultime parole sanguinate dalla penna della Storia. Gli uomini, dolci e amare essenze amate da tutte quante le sorelle, sotto la guida dalla folle Clio, convinta di poter cambiare il corso di sé stessa donando il proprio corpo alla Terra. Una lacrima scese ingenua sul viso della badante, che, mescolando un accento russo ai singhiozzi del rimorso, si rese conto di non poter più odiare la più coraggiosa delle proprie figlie. 

Colei che sembrava impersonare la più bella delle donne di Sparta teneva nelle mani un foglio di carta e una matita, armi semplici ma efficaci. E quando Erato cominciò a cantare, ella seppe fare della Storia un dettagliato disegno. Il supposto principe troiano, che in realtà era uno studente appassionato di informatica, non esitò a estrarre il proprio telefonino, per fotografare quel ritratto di immane bellezza. L’Arte lo avrebbe fatto persino innamorare. Talia sorrise di nuovo. Pensava a una nuova Commedia, in cui avrebbe narrato di uomini nascosti dietro entità virtuali, connessi a una rete di conoscenze fittizie e soggetti ai più svariati e curiosi equivoci. 

Quasi vittima dell’ironia del destino, Orfeo si voltò. Ancora una volta. Ma non era che l’affascinante mistero della somiglianza. Riconobbe la timidezza nello sguardo tremante di quell’Euridice che non fu costretta a sparire per sempre, bensì a rispondere a una domanda del ragazzo desiderato. Annuì, perché quel viso lo aveva effettivamente già visto, tra gli effetti personali dimenticati da un signora ultracentenaria nell’ospedale in cui lavorava come volontaria. Li aveva riportati di persona, la sera stessa, all’indirizzo rintracciato tra i documenti presenti all’interno della borsa dell’anziana paziente. Non era la prima volta che ciò si era verificato. La donna era totalmente priva di Memoria. 

Elaborarono un piano, avendo intenzione di ricongiungere Clio alla madre e alle sorelle. Euridice recuperò diverse immagini della vita di Clio, facendo attenzione a dare particolare rilievo alle interpretazioni più moderne e meno convenzionali della Storia, eseguite da artisti apparentemente folli, ma proprio per questo più simili a Lei. Elena ultimò il suo ritratto e ne realizzò altri, sulla base delle descrizioni della Memoria, opportunamente registrate da Paride sul telefonino. Proprio il principe della tecnologia si dedicò, insieme ad alcuni amici, alla creazione di un programma di realtà virtuale, in cui inserì gran parte del materiale raccolto dalle ragazze. Orfeo, la voce per eccellenza, avrebbe dovuto recarsi da Clio e convincerla a osservare dentro quello strano specchio malfunzionante che i più solevano chiamare computer. All’interno di quel mondo virtuale, parallelo e intrigante, si sarebbe nascosta, sotto qualche bizzarra invisibile forma, anche la madre, che non voleva apparire dal vivo, vinta dalla vergogna. 

La trovarono in fin di vita, con un’infinita tristezza negli occhi scuri e profondi che parevano contenere due galassie. Sola, come sempre, nel suo appartamento immerso nel muto frastuono della grande città. Guardava dalla finestra, su una piazza dedicata a un certo Giovanni, che doveva aver compiuto qualche raro miracolo nel passato di quel mondo mortale. Sapeva solamente che cinque piani di scale la separavano dall’ecosistema esterno, attraversato con coraggio solo il martedì mattina, quando era costretta a recarsi in ospedale, per fare una serie infinita di dannate punture. 

Magrissima, aprì alla porta, aspettandosi di vedere la bellissima Ninfa che ogni tanto le riportava la borsa. Le parve di ricordare il volto di Apollo. E allora serrò le palpebre, per non vedere le fattezze di colui che stava prendendo per mano. Orfeo cominciò a cantare, fermando l’avara rivalsa di Ade sull’anima della docile signora ancor prima che la rassegnata diffidenza della stessa Clio. Seduta su una poltrona rossa come il sangue, in una stanza semibuia che ricalcava l’atmosfera degli Inferi, ricominciò a guardare. Lo specchio era animato, si muoveva, mutava incessantemente l’oblio nella consapevolezza, fino all’abbraccio con la Memoria. “La Storia vi sarà per sempre grata, giovani Sognatori!”. 


Nessuno può sapere con certezza come andò a finire questa vicenda, né che ne fu di Clio, Erato e Talia, una volta che furono ricongiunte e poterono gioire dell’Amore della loro madre. Ma sul pianeta degli uomini rifiorì in tutto suo splendore quell’Arte di cui le nove sorelle erano state custodi, ravvivata da nuovi mezzi e da un pensiero sempre più aperto all’innovazione. Diffusa era la convinzione che questo domani migliore fosse in qualche modo, forse da una stella, oppure da qualche minuscolo angolo del virtuale, vegliato e protetto dalle Muse. 

(M.T., storytelling per Alphabeti srl, 2013)



Picture from Annael

amare vs AVERE

Lui le guardava il culo. Grasso, grondante di sudore, con un sorriso inconsciamente forzato: lui - certo - non il culo. Ma Isabella aveva proprio un bel culo, stretto in quei leggins scuri, non diversi dalla sua stessa anima. 
La palestra era semivuota, erano le quattro del pomeriggio: i giovani - normalmente - arrivavano un'ora più tardi. O anche due. D'altronde Isabella aveva lui, Roberto. E lui era vecchio, tremendamente vecchio. Aveva addosso il tipico fetore della vecchiaia di mezza età, quella che non ha fatto la guerra, per intenderci. 
Indossava una maglietta attillata, gliel'aveva comprata lei… Anche se - ovviamente - i soldi erano sempre quelli di Roberto. Che alternative aveva, dopotutto? Meglio comprare una maglietta da fitness a Roberto con il bancomat di Roberto, piuttosto che non avere mai una lira, aveva pensato. 
Isabella era straniera, veniva dalla povertà, quella vera. Aveva ventiquattro anni, che per una ragazza del suo paese sono fin troppi. Meno male che esistevano ancora i filantropi, a quei tempi là. Come Roberto. Single, sulla cinquantina, ammasso di vizi e pigrizia, ma a suo modo innamorato dell'essere umano. Non é detto che sia facile amare, ma è sicuramente facile AVERE, con tutto quel denaro. Lo stesso dannato ozioso denaro che lo aveva imbottito di morale e merendine sin dalla tenera età. Per non parlare delle bibite gassate. Che alternative aveva? Scoppiare, immerso nella solitudine? Proprio lui, un filantropo? La soluzione meno dolorosa era quella di comprare. E da intenzione nasce azione, si sa, nell'illecito regno dei ricchi.
‘Isabella, un nome fantastico, sei bellissima, conosco una persona che cerca una modella per fare delle fotografie… Per una famosa marca di orologi…’. Il tempo, crudele, era passato rapidamente. 'Anche oggi palestra, amore? Dai, che dobbiamo mantenerci in forma!’. 'Isabella, Isabella MIA… Ma NOI SIAMO in forma!’. 
Ero sdraiato vicino a loro, già voce narrante di una storia di ordinaria schiavitù contemporanea. Intanto, l'immensa quantità di grasso della pancia di Roberto, senza alcuna pietà, nascose prepotentemente il culo di Isabella, vinto. 

(M.T., from Tumblr)




Il testamento di Betelgeuse

ATTO PRIMO
“Non siamo poeti maledetti, non abbiamo la forza dei beat, siamo i rigurgiti del benessere che si addormentano nel pop”. “E il futuro?”. “È oggi. Dai, non smettere di ballare… Il pensiero riaccendilo dopo! Solo per guardare le stelle, J”. “Già, perché le stelle non sono fatte di cemento…”. “Ma a noi piacciono i centri commerciali, J. Perché temere il cemento? I nostri cuori sono fatti di plastica. E saranno terra: E saremo terra. Una Terra piena di plastica. E cemento. Ma a noi piace la plastica… Perché temere il cemento?!”. “Chi siamo?”. “Siamo oggi, J. Nessuno ci avrebbe voluto così, nemmeno noi stessi. Ma siamo così, siamo oggi”. “I rigurgiti del…”. “Dai, non smettere di ballare!”. 
La musica fu sempre più alta. E J aveva tanti sogni - veramente umani - negli occhi distratti dai lampi di luce artificiale. Aveva quasi le stelle. Ma quella sera, dopo la vodka, i due allontanarono un'alba incerta divorando carne di plastica in un fast food, sotto lo sguardo indiscreto del cemento.

ATTO SECONDO
“Già, le autostrade. Dici bene, J”. “Sono dappertutto, sono in te. E in me. E tra te e me…”. “Ecco perché dobbiamo imparare ad apprezzarne il profumo, la notte. 
Questa non é una realtà per bucolici. 
Siamo in bilico tra i monolocali e i cimiteri, ma vogliamo ballare, vogliamo ballare fino alla fine. Non abbiamo chiese, ma autogrill. Perché vogliamo viaggiare, vogliamo viaggiare fin dal principio. 
Forse siamo un chi, ma sicuramente non siamo un dove. E il quando ci fa scoppiare a piangere…’. ‘Ma le stelle…’. 'Tacciono. Non lo sanno, di essere un'emozione da guardare! Folli stelle. Bruciano dentro, senza sapere come é bella la luce che buttano fuori…’. 'Come noi?’. 'Non esattamente, J. Noi non bruciamo più. La nostra luce é come un miraggio sull'asfalto: un errore dell'occhio, o forse del tempo’. 'Ma noi, NOI…’. 'La dimensione del noi, J, non ci salva dall'essere umani in un'era che più non si addice alla nostra specie. 
Guardala, Betelgeuse, rossa di una morte millenaria, sepolcro dei cieli! Siamo noi’. 'Sarà, ma le mie palpebre si perdono nel traffico, persino a quest'ora… E non ci penso, a Betelgeuse. Credo solo che sia un peccato che una stella non possa fare testamento, non ti sembra?’. 'Siamo noi!’. 
J scosse il capo, non smetteva di recitare l'inconsapevole maledizione dei romantici. Arrivarono al casello, pagarono due denari. E fu davvero autostrada. Davanti a loro: la vita vera. 'Il prossimo autogrill?’. 'siamo noi!’.

(M.T., from Tumblr)



#microracconto

Dottor K, qual é il problema?
Che la gente scrive ‘qual'é’ e che, mentre tutti corrono veloci verso il precipizio, l'iPhone non é in grado di correggere questo ingenuo e al contempo rassegnato errare umano.
Che intende dire? Se parla delle crisi culturale… Beh… La cultura annoia, questo é il dato di fatto. E poi… Chi ci vende la cultura è complice di chi ci ruba il futuro, si sa. Non nascondiamoci dietro ai luoghi comuni degli accademici, suvvia! Lei lo sa… 
La mia generazione ha distrutto tutto, ragazzo. Quelle prima distruggevano tanto, la mia ha distrutto tutto. Vi abbiamo fatto imparare le poesie a memoria per non scomodarci a spiegarvi il loro significato. Vi abbiamo fatto credere che il liberismo coincide con la libertà, che il lavoro a tempo indeterminato é poco efficiente, che siete più belli se consumate di più…
Dottor K, qual è il punto? Siamo all'Apocalisse? 
Peggio, siamo alla riconsiderazione delle religioni salvifiche, siamo alla fine dell'illuminismo. Qualcosa ci minaccia, uno spettro, un demone: dev'essere il fantasma di Danton! 
Le opposizioni sono vecchie, consenzienti, poco credibili, adagiate, inutili… Che fare allora? Io non voglio dover preferire la morte, Dottore! I sogni, vorrei ricominciare ad avere dei sogni! Si ricorda, Lei, il colore e il profumo dei sogni? Di quelli analcolici, intendo… 
Il lavoro, il lavoro. Se c'é anche solo un barlume di speranza esso si trova nella piena occupazione. E nel posto fisso. Tutta l'economia nasce da lì. E non solo. La famiglia nasce da lì, anche se i preti e i bigotti se lo sono dimenticato. L'amore nasce da lì, la cultura pure. La precarietà é il cancro. 
Cosa dobbiamo fare, NOI? 
Niente. Oppure tutto. 
Dottor K?! 
Il lavoro, ragazzo, il lavoro! 
- Piangeva, l'ultimo #keynesiano -

(M.T., from Tumblr)


giovedì 15 ottobre 2015

Il testamento di Ranocchio

Quel Grigio negli occhi
innocenti, senza via di fuga,
e il respiro che s'asciuga,
con la sabbia nel cuore:

lo sento,

l'impassibile odore
dei suoi vinti rintocchi
tra i denti, col sudore
che amaro non sa dell'amore.

Il tuo tempo, già cieco,
s'agita a stento
al violento ragliare del mondo.

Non v'è segreto
sul tuo animo infame
e di voci soffia un gran vento,
che gli orecchi hanno fame!

Ma ben più dell'estrema unzione
desidero oggi scoprire quel nome
a te negato da un fato immondo
per farti maligno, per farti iracondo.

Pianger non puoi,
Malpelo,
tanto fragile e forte
che avrai agile morte
senza Cielo, o altra misera sorte:

Pianger non puoi. 

È quasi notte. E ho paura,
io minuscola bestia gracchiante,
di finir troppo distante
dalle tue botte, d'ogni nostra avventura.

Lo sento,

si fa rosso nella gola un infinito Addio.


(D.D.) 









martedì 7 luglio 2015

El mismo #Euro

Dunque, finalmente é tornata l'estate. E con essa, tra le note di Alvaro Soler e i selfie con gambe e altre varie nudità da spiaggia su #Instagram, sembra soffiare un vento politico nuovo, a tratti neorinascimentale e anche neorisorgimentale. 

Merito dei #Greci, tra i tanti loro demeriti. 

Ora la palla ce l'abbiamo noi, Paesi della bella vita e del gran debito, PI(G)S. Per molti aspetti annaspiamo in una merda molto più torbida, rispetto ai virtuosi, that's true. Ma forse da noi si sta svegliando un'idea davvero rivoluzionaria: il #sistema, così com'é, fa schifo. E non basta mettere altre pezze, bisogna inventarne uno nuovo. É un po' come il #Milan, per intenderci. 

Voldemort #Varoufakis ha rianimato il marxismo, attualizzandolo anche abbastanza bene. Ma anche questo non basta, altrimenti siamo fermi alle favole di Esopo e #Bertinotti. Servirebbe piuttosto un nuovo Marx, qualcuno che conosca le logiche del mondo globale e post-industriale, che però non abbia amici alle Cayman e che non debba per forza usare i server di #Casaleggio. Ecco, a questo punto trovo lecito chiarire che non mi riferisco né a Povia né a Gianni Morandi, state tranquilli. 

Ripartire dalla #creatività, anche e soprattutto in economia (dove la leadership del popolo crucco, notoriamente il meno creativo al mondo, ha fallito come neanche Napoleone a Waterloo e la Boschi ad Arezzo ndr). Ripartire dalla riconsiderazione delle scienze sociali e umanistiche, senza le quali diventiamo tutti dei robot che non sanno più neanche fare l'amore senza l'ausilio di Excel. Ripartire dalla #cultura, in ogni materia, perché altrimenti ci troviamo al potere gente come Salvini e Gasparri o le #ladylike. 

Ripartire cercando di riequilibrare il divario tra l'economia reale e il mercato finanziario. Ripartire senza la farsa quotidiana dell'andamento delle #borse: obiettivamente, ha fracassato i cosiddetti. 

Ripartire da una politica che in grado di agire, uscendo dal delirio dei quaraquaqua (oggi anche detti, a livello internazionale, #SHISH). Urge una soluzione, così siamo incapaci di affrontare i problemi concreti senza colpire i soliti innocenti. Pensiamo ai disoccupati (nemmeno Cassandra da Troia avrebbe previsto l'esistenza della disoccupazione nel 2015!), pensiamo all'#ISIS che fa i selfie con le armi italiane... Poi ai veri #migranti (e qui, preciso, intendo i Berlusconiani sbarcati nel governo Renzi, tipo Formigoni, ovviamente!). 

Intanto la #Lagarde si fa fare la pedicure da una generazione di schiavi, noi, i #millennials, quelli che il neoliberismo di Reagan lo stanno studiando nella vita quotidiana, a bastonate, mentre anche solo leggendo il più banale dei libri di #storia si chiedono innocentemente 'ma perché ha fatto così?'. 

Nel frattempo le mosse del nostro ex amato #Renzi (chiedo immensamente perdono, anche sulle note tropicali di #Iglesias ndr) assomigliano sempre di più ai rigori di #Higuain. E le scommesse calcistiche sono nulla confronto alla speculazione finanziaria. Derivati, derivati ovunque, bisognerebbe inventare un veganesimo o una #celiachia che comportino l'eliminazione dei derivati. A Scanzi di equivoci, nessuna decrescita felice, per carità. #Latouche ha troppi soldi e non ha più l'età per proporre soluzioni davvero utili per il futuro! Serve una crescita diversa, in cui lo sviluppo sia pienamente umano, non solo economico. 

L'uomo deve tornare al centro del #progresso, riappropriandosi del ruolo che gli ha scippato il Dio Denaro senza che quel posto se lo riprenda una qualsiasi altra tediosa divinità monoteistica. 

Ps. A proposito, speriamo che la #Papamobile in Sudamerica abbia lo stesso diritto di non rispetto del codice della strada che é stato concesso ad Arturo #Vidal, per coerenza nei confronti degli idoli del momento. Amen e forza #Tsipras

M.T.




mercoledì 1 luglio 2015

Lettera di un #prof

Caro Matteo Renzi, ecco la breve lettera di un sognatore tradito. Non sarò prolisso, in modo da invogliarti a spendere due minuti per questa mia storia. Pensavo potessi cambiare l'Italia, partendo dalla scuola. Ti ho sostenuto, rovinando anche qualche amicizia. 

Sono un giovane insegnante di terza fascia, per fortuna o purtroppo nell'ambito delle materie umanistiche. Pur avendo passato la prima prova del TFA (a luglio ndr) ho scelto di non passare al secondo step. Pazzia? Paura? No, è stata una scelta ragionata. La seconda prova si è svolta a dicembre (ti sembra giusto che ciò sia avvenuto dopo tutti questi mesi?) e nel frattempo ho trovato lavoro in un CFP, come insegnante di italiano e storia. 

Un'esperienza fantastica che mi ha definitivamente consacrato nel mondo della scuola: chiedi pure a studenti e genitori, coloro che ritengo i veri giudici insindacabili del lavoro dei docenti (altro che i presidi!). Un percorso faticoso, ma di grandi soddisfazioni. Purtroppo proseguire l'iter dell'abilitazione non era compatibile, in termini di tempo, con il pieno adempimento dei miei compiti di docente. Ho scelto di non licenziarmi e l'ho fatto per dignità e, soprattutto, rispetto nei confronti dei giovani che mi ero impegnato a formare. 

Ora la tua riforma mi taglia fuori. E sono in attesa di capire come sarà possibile riuscire a rientrare nel percorso di abilitazione. Personalmente non credo più che tu possa far rinascere l'Italia a partire dalla scuola. Sognavo, ma ora sono sveglio. Non sei diverso dai tuoi predecessori. Ti chiedo solo di riflettere un po', perché stai chiudendo la porta in faccia a migliaia di sognatori, che sono anche inimmaginabili risorse per il nostro Paese. 

Ti prego inoltre di porre perlomeno chiarezza nel percorso di reclutamento degli insegnanti, ma non solo a parole. Servono i fatti e servono subito. E ADESSO COME CI SI ABILITA? Subito però: voglio i link delle Università con le iscrizioni a nuovi TFA o lauree abilitanti. E lo vogliono in tanti. Altrimenti stai umiliando e buttando nel gabinetto il lavoro e l'impegno di tanti professionisti meritevoli. 

E per favore, consiglia ai tuoi Ministri (che inviterei a presenziare a un mio colloquio con i genitori ndr) di non dire "Insegnare senza abilitazione è come guidare senza patente", perché è un'aberrazione. Gli studenti lo sanno benissimo che ci sono insegnati abilitati che sono delle capre e docenti non abilitati che sono bravissimi (e viceversa, per carità): loro, i destinatari dell'istruzione, non li fregate affatto! 

Un ultimo appunto. Ho insegnato all'estero, parlo l'inglese molto bene e potrei insegnare le mie materie in inglese, ma questo non è valorizzato nella tua #buonascuola (o meglio, lo è solo a parole, non nei fatti, perché il filtro, ad esempio nel progetto CLIL, resta sempre l'abilitazione e non ci sono corsie preferenziali per chi ha merito in ambito linguistico e esperienza internazionale: welcome to the past!). 

Detto questo, se per caso tu volessi due diritte in inglese o francese (che ti servirebbero) ti darei volentieri una mano! Ps. Mai perdere un tocco di ironia, altrimenti è la fine. Ti saluto, in attesa di una tua inaspettata risposta. Sappi che ho scritto di getto, senza curare la forma, lasciandomi guidare da una cortese sincerità. 

Michele





mercoledì 25 marzo 2015

Primavera non bussa

Primavera non bussa, lo dicono i saggi,
ma si perde nei vizi e s'incanta di viaggi...

Ci prende in giro, si fa maliziosa...
E regala un sorriso sul viso e una rosa

anche al cuore più brullo,

ne nutre la notte. Son botte
tra il petto e i pensieri, il dolore e i miraggi...

Primavera non conosce il mondo,
non ancora, è dannata,

è una strega all'aurora vestita da fata.

Si contorce nel gelo del vero
sotto il velo del cielo,

è agonia.

Davanti a una porta chiusa,
illusa

crede ancora nella magia.

Divora i suoi sogni fino a vomitare la realtà. 

Primavera ha bussato, 
ma il destino lo sa, di essere sordo. 


(D.D.) 




martedì 23 dicembre 2014

Una margherita d'inverno

Una margherita d'inverno
è nata per morire,
troppo presto,
con tutto il resto
che già gela all'imbrunire.

Che bella margherita!

Follia della natura
che ride dei nostri stupidi schemi,
delle quattro stagioni
e dei frutti e dei semi.

Non risparmia certo i fiori
e nemmeno le emozioni
che attraversano, tra gli imprevisti,
i nostri occhi, felici o tristi.

Che bella margherita!

Ci sarebbe molto da ridire
sull'ostinata ricerca dei colori
che ci anima di giorno in giorno,
mentre saliamo in vetta ai monti
per guardar l'infinito della pianura.

Una margherita d'inverno
è come l'essere umano,
si spegne in fretta
ma è capace di guardare lontano.

Che bella margherita!

Ha il coraggio di guardare il cielo,
imperfetto mistero,
e di regalare un sorriso,
tanto ingenuo quanto sincero,
a quel muto e potente azzurro velo.

Una margherita d'inverno
è tutta la fragile forza della vita.

Che bella margherita!

(D.D)



Foto di L.M.