lunedì 15 ottobre 2012

Daniel Dyler e le Avventure nelle Terre di Mito. IV - Gli Arconti dal Nome Incancellabile




 Ipotizzando la paura che le sue parole avrebbero potuto generare negli animi dei giovani seduti sugli spalti, il vecchio uomo, per quanto non gli fosse possibile virare su un tono di voce meno tenebroso, cercò di rassicurare tutti quanti: «Non temete miei cari giovani, perché qui siete al sicuro! E Zerya, la città prima tra la città e prima delle città, è al sicuro perché voi siete qui! Tutto vi verrà spiegato nel dettaglio, non avrete alcun motivo di bagnare con il pianto quest'orizzonte che si dona alle vostre pupille, 'sì tanto diverso e lontano dal vostro essere quotidiano. Prestate attenzione a ciò che sta per rivelarvi un uomo che ha la saggezza nelle rughe e l'amore e la giustizia nel cuore!». Molti sguardi sembrarono essere meno tremanti e tiepidamente colorati di una certa curiosità. Daniel era a dir poco affascinato da quello che stava accadendo. E Jake, attonito, contemplava gli occhioni verdi dell'amico, leggendovi tutta la sua eccitazione. Amava quelle iridi immense, che altro non erano se non le due pagine di un infinito e mutevole libro sempre aperto, quello dei pensieri e delle emozioni del suo migliore amico. A volte, pensava, guardando certi occhi non servono parole per sentirsi costantemente in due. 

 Continuò poi il suo discorso quel misterioso signore dal viso scarno e scuro, che pareva il composto gran visir di un sultano mediorientale: «In questo momento vi trovate nell'Anfiteatro che tanti secoli fa l'architetto Espidòro, il più grande di tutta la storia di Zerya, regalò alla nostra città. Consentitemi di farvi notare come ancora una volta, qualsiasi sia l'universo in cui si trovi, allorché l'uomo s'immerga nella contemplazione dell'arte, in ogni briciolo di secondo dell'era del suo presente, come fu nel passato e sarà nel futuro, non conosca più alcun concetto di tempo se non quello di una certa eternità, un infinito esclusivamente umano che ha l'unico limite di non poter vivere al di fuori dell'uomo. Scoprirete che questo limite è per certi versi anche il limite di ogni dio...». Molti ragazzi non poterono fare a meno di voltare timidamente il capo perplesso verso quello del proprio vicino, evidentemente cercando altre spontanee manifestazioni di smarrimento di fronte a quella nebbia di parole, quasi filosofiche, che donavano ulteriore profondità all'assurdo mistero che stavano vivendo. 

 Continuò nel mentre la voce severa: «Sappiate che nessuno di voi sta sognando e che tutto quello che vedete e ciò che vi sto dicendo corrisponde solo e soltanto al vero. Chi vi parla è Enlil, uno dei cinque Arconti dal Nome Incancellabile, custodi di Zerya e del Bene nelle Terre di Mito. Gli altri quattro, che siedono accanto a me, sono i miei pari Kumarbis, Ra, Baal e Tin. È probabile che alcuni tra voi abbiano già impropriamente udito questi nomi, che da millenni si propagano nelle galassie come i raggi di luce delle loro stelle». «Uno sicuramente...» bisbigliò a questo punto Daniel, non appena l'anziano uomo vestito di rosso che diceva di chiamarsi Enlil smise di parlare, facendo precipitare l'anfiteatro prima nel silenzio e poi nell'accennato brusio. «Ra è un'antica divinità egizia, ne sono pressoché certo!» esclamò il giovane Dyler, che un po' per passione, un po' per il fatto di essere il figlio del bibliotecario, navigava spesso tra i libri di storia e di mitologia antica. Stava quasi per fare un collegamento mentale proprio tra la "mitolgia sulla Terra" e le "Terre di Mito", quando l'interruppe un commento secco di Jacob: «Ra? Adesso ci manca solo che compaia un dinosauro insomma!». Sarcastico, a metà tra l'ironia e l'incredulità, si metteava le mani sulle tempie, avvertendo il suo stesso battito corporeo, che si traduceva peraltro in ondate di sudore freddo e nel sopraggiungere di un leggero mal di testa. Ma come dargli trorto? Il suo nome non era né mitologico, né tantomeno "Incancellabile": era un Reid, noto ai più della borgata di Ullapool solo per la sua presunta bellezza e per le origini irlandesi. Il pensiero più razionale che poteva avere in quel momento in cui il mistero non faceva che aumentare era che Zerya potesse essere una cittadina sperduta nel Pacifico, magari non lontana dalla Nuova Zelanda, e che conservasse usi e costumi distanti nel tempo e nello spazio, tanto da sembrare quasi magica. Ma quei cavalli? Le loro ali? Potevano essere stati drogati con qualche pozione aborigena o maori? Il caos dilagava nuovamente nella sua mente. E, come tutti, anche Jake era a questo punto ansioso di ascoltare le spiegazioni degli Arconti.

(M.T.)




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